Testo: Mariano Apa
dal catalogo della mostra
Abitare lo spazio. Abitare il tempo. Poter dare un nome al tempo e allo spazio e così poter definire l’ordine dello spazio e del tempo. Perché definendo l’ordine possiamo definire l’identitaria realtà della nostra individualità esistenziale, senza dimenticare ma certo oltrepassando lo statuto delle appercezioni interiorizzate raggiungendo la coscienza del proprio sé. Probabilmente il ritrovarsi e il riflettersi dell’artista nello spazio e nel tempo aiuta a nominare nell’opera, e per la realizzata opera, la realtà altrimenti sfuggente, frammentaria, balbettante, dimenticabile. Restituirsi alla realtà piena e sazia ritempra della fatica per ascoltare e per vedere la realtà. Probabilmente è la lezione che la Trevisan ha acquisito dal dialogo intrapreso con Palladio e Scarpa, come a dire con il genio di una modernità che va a riconfermarsi, in questa nostra attualità, anche in un anacronistico “ricordare” la cui constatata modernità denunciata “vira” nella verità della contestualizzante post modernità là dove il coordinamento critico estetico induce a posizionare le opere artistiche all’interno di un dilatarsi dell’onnivoro eclettismo che tutto, in questa nostra attualità, può macinare e ritritare. In tale apparente conflittualità di stratificate indicazioni mostrate tra spinte propulsive e afasie interminabili, il moderno diluisce, si potrebbe dire, – trasformandosi e riproponendosi -, nella post modernità. La memoria, allora, l’esercizio dello studio e del ricordare in quanto riproposizione della cultura nella storia, dovrà farsi carico della cultura nella storia, dovrà farsi carico del vissuto esistenziale, tralasciando le ideologiche indicazioni di progettualità bruciate nella ripetitività dell’assunto mostrato. La memoria non potrà avere, allora, le fredde tautologie della concettualità alle prese con lo sprofondamento della indagine citazionista. Non si dovrà articolare un pensiero tautologico bensì, sottraendosi a quella ideologia, l’artista sarà libero nella realtà dell’opera in quanto espressione del pensiero in attualità. Per poter così dialogare nella libertà, con la memoria, depurandosi delle tautologie e, dunque, liberandosi nella esistenzialità di un vedere che può, come ci propone questo ultimo ciclo di opere Annamaria Trevisan, attraversare addirittura i secoli – Palladio -, o i decenni – Scarpa – capace di ricomporsi di contro ad ogni frammentazione e davanti ad ogni mutazione. Nella eclettica nostra contemporaneità, si ribadisce il valore fondativo della esistenzialità. Della individualità che costruisce e della personalità che si esprime, del referente che in una presa di consapevolezza critica ed emozionante, verifica la veridicità dell’opera che viene “vista-vissuta”.
Con questo ciclo di opere dedicato a Palladio e a Scarpa, Trevisan è giunta ad una verifica del proprio percorso critico e alla ridefinizione della propria strumentazione linguistico espressiva. L’artista giunge a proporre l’immagine in quanto procedimento dell’edificare l’immagine. Riesce a farci entrare dentro le immagini dimostrando che l’autentica corrispondenza con il genio di Palladio e Scarpa è la messa in opera del procedimento ideativo fino al coinvolgimento del referente, di chi, ovvero, davanti l’opera potrà entrare nella medesima opera senza fermarsi, senza “vedere per vedere”. Proponendo. l’artista, la possibilità di un vedere che faccia riflettere in quell’immagine d’opera la intimità del proprio itinerario che viene ad intrecciarsi con il percorso mentale a rileggere l’opera della modernità in Palladio e Scarpa. Come l’artista rilegge Palladio e Scarpa, così noi stessi davanti le opere della Trevisan, dobbiamo rileggere l’opera del genio architettonico che viene riproposto in quanto “contemporaneo”, da imporsi nella spazialità della bellezza che si dimostra quale modalità di conoscenza. Nella dinamica con cui si propone l’opera, ci si viene ad elaborare e ad esplicitare la quantità dell’investimento visionario nella qualità della medesima visione che, all’interno del procedimento ideativo conduce all’immagine in quanto realtà della rivisitazione, della rilettura, della reinterpretazione dell’opera di Palladio e Scarpa.
La pittura della Trevisan si propone in quanto pittura di architettura. Non perché cita alcune tipologie architettoniche. Bensì è il suo praticato disegnare e pitturare che conduce al dato architettonico, all’arte edificatoria che investe il senso della giustificazione artistica. Trevisan si propone quale artista che desidera offrire spazi e tempi da abitare. L’immagine che l’artista realizza si propone come una edificazione, come quasi che la pittura debba essere una realtà architettonica, debba volersi dimostrare quale una veridica casa abitata.