Testo: Giuseppe Pilla
dal catalogo della mostra
Ogni pittore ha una sua più o meno sofferta, più o meno sentita interpretazione che poi traduce in un particolare mondo stilistico per creare quello che si è soliti chiamare il “mondo” dell’artista. Ma nelle sue opere l’artista deve pure attenersi a regole generali ed immutabili di composizione e di creazione, di intelligibilità e di emozione che costituiscono appunto il linguaggio universale dell’arte. Queste regole e questo suo mondo devono essere anche espressi con una sincerità piena e sentita senza di che la sua interpretazione sarebbe un fenomeno interno e meramente soggettivo, interessante al più dal lato psicologico ed intellettivo, ma che non parlerebbe un linguaggio universale. Le opere della Trevisan sprigionano una vita intensa, un acuto incantesimo non di riporto. Anche quando l’artista si ritrova sola con i propri mezzi si ammirano il disegno e la freschezza di procedimento per approfondire le ombre e per far vibrare le figure. Tutto parte da un progetto che ambiziosamente lega l’artista al suo patrimonio culturale: il mondo del classico riletto e rivisto attraverso la sua sensibilità e rapportato ad una profonda visione della vita e del suo manifestarsi. L’occasione si è presto presentata sotto le specie di una lunga vicenda da narrare e che lega il Palladio alla più vicina figura di Carlo Scarpa in un anno di grande respiro per la cultura vicentina, veneta e nazionale.
Nelle opere esposte in questa originale mostra da Annamaria Trevisan, il punto fra interpretazione del pensiero scarpiano e palladiano, l’attenzione al classico, che nonostante la grande distanza temporale unisce le due grandi figure, e l’interpretazione soggettiva della nostra artista è dato da una costante posizione di equilibrio, al punto che la pittura espressa da queste tele non è da considerarsi come arte esterna o epidermica, bensì con una sua validità interiore. Da Palladio a Scarpa. Niente di più complicato e nello stesso tempo niente di più culturalmente vicino in quanto fondante di una cultura che unisce.
Nelle sue realizzazioni Palladio riesce ad andare oltre le formalità e il linguaggio accademico di un tedioso criterio dell’antico, legittimando le scelte del proprio operato, puntando sull’indipendente validità dell’architettura, dove la storia e l’attualità coabitano in un costante spirito di ricerca. Con questi principi e convinzioni egli propone un nuovo concetto di spazio dove il disegno e la ritmica del complesso vengono valorizzati dalla solida plasticità figurativa. Peculiarità principe di Palladio è l’eccezionale capacità di adeguare la propria creatività alle più svariate necessità di rappresentanza e di circostanze ambientali.
Nella storia dell’Architettura la figura di Andrea Palladio occupa una posizione preminente: egli appartiene, infatti, a quella ristretta cerchia di eletti il cui solo nome è sufficiente a definire i caratteri di un’intera epoca. “…Mi voglio confessare: ci terrei che un critico scoprisse nei miei lavori certe intenzioni che ho sempre avuto. Vale a dire, un’enorme volontà di essere dentro la tradizione, ma senza fare i capitelli o le colonne, perché non si possono più fare. Neppure un dio inventerebbe oggi una base attica..Possiamo dire che l’architettura che noi vorremmo essere poesia dovrebbe chiamarsi armonia, come un bellissimo viso di donna. Ci sono forme che esprimono qualche cosa. L’architettura è un linguaggio molto difficile da comprendere – e misterioso, a differenza delle altre arti, più direttamente comprensibili… Il valore di un’opera consiste nella sua espressione – quando una cosa è espressa bene, il suo valore diviene molto alto.”. (Carlo Scarpa, Madrid 1978)
Facciamo fatica a riconoscere dalle migliaia di disegni di Scarpa il normale procedimento di progettazione. Questo perché i disegni non si riescono a collegare fra di loro, sfuggono, sono frutto della mentalità che spazia in ogni scala, dove si annota l’errore di esecuzione o il problema statico che diventa idea progettuale per un nuovo progetto, un percorso frammentario e non lineare: la poetica del frammento. In una bella pagina di Tafuri questo procedimento è sottoposto ad un’analisi critica: si spiega come già il frammento in sé contenga un aspetto luttuoso e drammatico nell’esprimere la perdita dell’unità, di qualcosa che era stato rotto e frazionato, e dai pezzi si può leggere come una trouvaille, dove si avanza sempre raccogliendo qualcosa che potrebbe tornare utile in futuro: sono dei lampi, senza mai tirare le fila del discorso, esprimendo una sorta di disagio profondo. La qualità estrema di Scarpa è quella di suggerire mille forme possibili per completare i sui progetti, con altre possibilità di immaginazioni e di contaminazioni, in questi modi di compimento delle molte figure sospese nell’opera scarpiana, realizzate con ironia, una sorta di disagio dissimulato. Riuscire ad interpretare con una certa conduzione di rigore filologico le diverse esperienze di Palladio e di Scarpa è stata l’impresa affrontata da Annamaria Trevisan con grande coraggio e bravura. La ricerca emerge dai fondi della memoria: ogni tela è come un sasso lanciato nell’acqua che si rischiara, si apre in cerchi sempre più larghi. E da questi cerchi escono la straordinaria qualità dell’occhio, la forma suggerente che contiene il segno anche quando e sfuggente o scompare per lasciare il passo ad un fresco panneggio che evoca ed incanta.