Testo: Padre Ermes Ronchi
dal catalogo della mostra
Disegno o pittura? Inizialmente non sapresti dire di che cosa si tratti. Poi vedi emergere figure che sono tagliate su fondi neutri da larghe pennellate bianche, immagini nate da un intreccio di linee di luce, volumi costruiti da soffi di bianco. E la domanda perde il suo senso. È la sintesi felice delle due forme.
Guardo le opere e le ascolto, e attraverso queste immagini arriva fino a me un racconto che è fuori dal tempo, una parabola antica come l’uomo. Secondo una tradizione rabbinica: “ in origine Adamo era vestito di una tunica di luce. Dopo il peccato questa tunica di bellezza è stata ricoperta da un’opaca tunica di pelle. Ma quando verrà il messia, lui farà riaffiorare in ogni uomo la primitiva tunica di luce, in ogni volto l’originaria tunica di bellezza”.
Lo stesso venire alla luce è raccontato dall’Angelo che esce da un’aurora rossa, simbolo di terra, d’umano, di carne che si illumina. E dal Battista, che invece esce dalle sabbie ardenti del deserto, con scintille di deserto addosso.
Guardo e vedo volti bellissimi, maestria del disegno, che parlano la lingua del cuore, della tenerezza e della bellezza, il solo linguaggio universale. La Santa Famiglia, ad esempio: il Bambino bello come in un quadro di Guido Reni; la Madre che fiorisce di piena umanità come nelle migliori botteghe del Rinascimento; Giuseppe che irradia dolcezza e virilità: è la bellezza che crea ogni comunione. Anche con chi guarda.
Ci sono dimensioni come la poesia, la bellezza, la pittura che apparentemente non servono, ma hanno un valore primario, perché ci ricordano l’eccedenza del mondo rispetto all’utile e all’economico, e quindi sono profondamente legate a un oltre, alla speranza, alla gratuità, alla grazia.
Se vogliamo avere in futuro una generazione capace di vita spirituale e non solo clienti o consumatori, dobbiamo trasmettere il senso della poesia, della bellezza, dell’arte.
Così leggere queste immagini, così senza peso, hanno una voce che sussurra, suadente, e non grida mai. Suggerisce che se ti affacci, puoi vedere un’altra dimensione. Le opere di Annamaria Trevisan non fermano lo sguardo, non lo bloccano, non lo saziano, ma lo conducono oltre. Si offrono come una soglia da oltrepassare, come evidenzia la grande pala-dittico di Crocifissione / Risurrezione, dove sulla croce già respira la pasqua. Le sento come un varco, una fessura, una breccia, benevoli, in cui volentieri mi inoltro, mi perdo e mi ritrovo, in un misterioso e gioioso labirinto di luce. Perché l’arte vera è sempre profezia di gioia, perché “Tutta l’arte di prim’ordine è per essenza religiosa. L’arte è come la carne della spiritualità, testimonia in favore dell’incarnazione: nel frammento, il Tutto” (S. Weil).