UN BUNKER. UN’ARTISTA

Testo: Cristina Falsarella
scritto in occasione della mostra

Può apparire una contraddizione in termini, uno stridente contrasto che, al contrario, si afferma come armonioso contrappunto.

E’ così che una struttura difensiva ipogea, generata dalla paura e dall’incertezza com’è il Bunker di Caldogno, diviene oggi ventre materno, luogo intimo e silenzioso, ideale, diremmo, ad ospitare la pittura di Annamaria Trevisan. La sua pennellata luminosa e salda, infatti, riluce in questo buio contenitore, in un affascinante equilibrio tra nascondimento ed epifania.

Qui si fonda la strenua ricerca condotta già da tempo dalla pittrice vicentina e acuitasi nelle sue opere più recenti con esiti davvero straordinari: la Trevisan è artista di alta qualità, “troppo brava” per alcuni, capace di progettare e gestire anche grandi superfici ad affresco. Le sarebbe facile apparire accattivante, gradevole, seducente; le basterebbe far fluire con naturalezza la sua abilità. Al contrario, il suo imperativo è dissimulare la pittura, frenarne le ridondanze per giungere incisivamente, con pochi e sapienti tocchi, a schiudere l’essenza più profonda e autentica delle sue raffigurazioni. E il risultato è… accattivante, gradevole, seducente. Celare per rivelare. Questo è il principio che porta l’artista a dipingere direttamente sulla tela, senza preparazione del fondo, a rinunciare alla narrazione affidando il messaggio al gesto, al rapporto dialettico/dialogico tra due corpi, due volti, due mani, che si tratti di un Compianto sul Cristo morto o della storia d’amore tra il principe Rinaldo e la maga Armida, di tassiana memoria. E per fare questo, la Trevisan ripercorre i soggetti sacri e profani cari alla grande pittura del passato, ne studia le soluzioni formali, ne sviscera il nodo centrale e, ancora, li riproduce in fotocopia per poi lavorarci sopra, quasi a voler lasciare traccia del suo modo di sentire; lei, sagace e originale figlia del suo tempo, concettualmente travagliato e in profondo divenire. La sperimentazione instancabile di Annamaria Trevisan, che mai prescinde dalle regole del disegno, non è mai autoreferenziale. Da osservatrice attenta degli insegnamenti delle avanguardie storiche, la pittrice cerca continuamente di stabilire una relazione tra la sua opera e il possibile spettatore. Lo intriga attraverso esperienze estetiche intense e memorabili: la sottrazione, l’impiego di supporti compositi mobili, la raffigurazione su recto e verso delle tele, sono per il fruitore fonte di tensione gnoseologica e di viva curiosità, che lo mettono in atteggiamento attivo nei confronti dell’opera.

Tanto più se si tratta di raffigurazioni sacre, nelle quali la riduzione al gesto, lungi dal generare frustrazione, funge piuttosto da veicolo di riscoperta del mistero.

Ebbene, in questa esposizione, appartato, lontano dal rumore assordante del mondo, lo spettatore è accolto in modo giocoso dalle Danzatrici, desunte da Canova, attirato lungo i bui corridoi, ai cui lati, come scrigni, si aprono le celle. E’ qui che avviene l’incontro con la pittura, in questi spazi nudi voltati a botte che divengono per l’occasione efficaci coni ottici ad esaltare la forza espressiva di queste opere. Cella dopo cella, la pittura si fa cercare, si fa desiderare in un crescendo di sacralità che trova il suo apice nel cuore del bunker: una sala quadrangolare, dalla copertura ritmata da prese di luce, dove si stagliano le Beatitudini ed altre opere d’arte sacra; uno spazio di grande suggestione che grazie alla forza delle immagini rivelate dalla pittura di Annamaria Trevisan assurge a vero e proprio spazio liturgico.